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Nel binomio “Sorelle povere”, voluto da Chiara, c’era il desiderio di richiamarsi al binomio “frati minori”.

Chiara nella sua formulazione vedeva rispecchiata la vita sororale in analogia con la vita fraterna dei frati e insieme la povertà intesa non solo come penuria materiale ma come stile di vita, come minoritas, minoritas francescana, basata sul lavoro manuale, sull’aiuto al prossimo, e sul non aver diritti ne potere.

Almeno per questo tratto così rilevante Chiara potè appoggiarsi al privilegio dell’altissima povertà confermato da Gregorio IX nel 1228 che caratterizzava l’esistenza delle monache in San Damiano.

Di “fratelli minori” e di “sorelle minori” invece aveva parlato Giacomo da Vitry, descrivendo la lieta scoperta che aveva verificato in Umbria subito dopo la morte di Innocenzo III, nel 1216: una parità coraggiosa di uomini e donne che non resistette però all’usura di tanti condizionamenti, all’interno e all’esterno dell’ordine francescano. Chiara, che con tanta fermezza ribadì per tutta la vita la comune origine di frati e monache dal progetto di Francesco, seppe con umiltà e intelligenza non riprendere la definizione di sorores minore della sua giovinezza. Preferì contenere il numero delle difficoltà che la sua regola certamente avrebbe incontrato prima di essere approvata e dunque non volle uno scontro sul problema del nome che avrebbe riaperto la questione del progetto di Francesco rivolto paritariamente a uomini e donne.

 

da: Chiara Frugoni, Storia di Chiara e Francesco.ed.Einaudi