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La preghiera del Papa

Signore,
molti pensano che per un papa sia molto facile pregare.
Perché non sanno che un papa, prima che un papa, è un uomo fragile e solo come tutti gli altri.
Perché pensano che tra te e me esista un telefono diretto senza interferenze;
mi credono un segretario che agisce sotto tua dettatura.
Pensano che non posso avere il dubbio di sbagliare.
Qualche volta, Signore, vorrei gridare la mia preghiera in mezzo alle piazze perché gli uomini vedano che quando ti prego anche io provo l’ira dei profeti, la tua angoscia a Gerusalemme, la tortura di sentirsi abbandonato sulla croce, e non le dolcezze del Tabor soltanto.
So bene, Signore, che molti dubitano che la mia preghiera sia biblica perché pensano che non sento la gioia e il rischio dell’avventura di Abramo.
Altri, invece, dubitano che la mia sia un’eco della preghiera di Pietro, che sente la certezza e la responsabilità delle sue decisioni.
Ma io non posso pregare in pubblico, Signore, perché la storia ha fatto del successore di Pietro un personaggio in alto che non può confessare ne le sue gioie ne le sue miserie.
Ma non ignoro che ci sono tanti che non vorrebbero morire senza aver visto prima una immagine diversa del papa; tanti che non lo vogliono ”personaggio” ma “presenza”.
Molti non sanno che essere papa, oggi, è come firmare in bianco la propria condanna di schiavitù e accettare una vita in perpetua contraddizione, in continuo paradosso, in un equilibrio forse impossibile.
Questa, Signore, sarà forse la mia croce? Sì, sento che il mio dolore si fa sul legno duro di una serie di interrogativi che mi tormentano giorno e notte.
Deve essere così, Signore? O sarà la mia fragilità che si costruisce da sola il suo martirio? Questa è la mia domanda angosciosa. Voglio, oggi, cominciare la mia preghiera con le tue parole nell’orto di Gerusalemme: “Se è possibile allontana da me questa angoscia” ………..


(J.Arias, Preghiera nuda. Cittadella Editrice, 1978)